Secondo guest post, sempre a firma S., sempre a tema territorio. Questa volta si parla di USCA, la “guardia medica” speciale per i pazienti Covid.
“Per fortuna la nonna è morta due mesi fa”
I DPI schermano meno dalle espressioni facciali di quello che credevo, e la figlia della signora D. coglie subito la perplessità che ha suscitato in me questa frase
La sala da pranzo della signora D. dà direttamente su un cortiletto interno. Al momento è tutto spalancato, per far arieggiare i locali, come da noi richiesto. La signora D. si tira su la coperta. Ogni tanto un brivido la scuote; io sono grato di avere aria che mi circola attorno. È il pomeriggio di Pasqua. Le temperature si sono alzate e ad arrivare dalla signora ci abbiamo messo venticinque lunghissimi minuti in cui ho sudato come neanche a ferragosto al mare. In auto, sotto i vari strati di protezione, ho sentito la pelle pizzicare, a tratti bruciare. Sotto la mascherina mi è sembrato di sentire i peli della barba crescere, uno per uno, un micron per volta. Per molti è una piacevole giornata primaverile; io non vedo l’ora di potermi spogliare. Con la scusa di prendere visione di un recente ECG mi avvicino verso la porta-finestra. Inspiro, per quanto concesso dalla FFP2.
La figlia della signora D. fa un passo verso di me, poi si ricorda delle regole di distanziamento e si ferma. Vuole aiutarmi a districarmi tra i fogli, ma soprattutto vuole spiegarmi la frase di prima. Si è resa conto che le è uscita non proprio bene, ha intuito i miei pensieri e di passare per la stronza della situazione non le va. Sono settimane che la sua vita ruota 24 ore su 24 al prendersi cura di sua madre. Passare per la stronza con un omino vestito da Cernobyl 1986 non le va, e ha anche ragione.
La mamma ha una probabile sindrome covid (di diagnosi di certezza, sul territorio, non se ne parla): “zona grigia”. Ospedalizzare sì o no? Zona grigia. Età? Zona grigia. Anamnesi per orientarsi sulla terapia? Zona grigia (già, soprattutto sul territorio, esistono pochissime certezze e linee guida). Parametri? Zona grigia. In questa zona grigia si muove anche la figlia. Ha fatto di tutto per evitare che la mamma finisse in ospedale, prima con il medico di medicina generale (MMG) e ora con noi, Unità Speciali Continuità Assistenziale (S.H.I.E.L.D. levati che non siete nessuno).
La nonna, ultraottantenne, è mancata due mesi fa, lasciando un mini alloggio vuoto sopra casa della signora D, come mi spiega la figlia, che ora può usare questo appartamento, ancora da sistemare, come appoggio mentre assiste la mamma. “Sto tutto il giorno con lei. Ho tutto, vede?: guanti, mascherine. Lavo sempre tutto, però vado su per i servizi e la doccia, prima di andare a dormire a casa mia. Non c’è una cucina… mia mamma portava da mangiare alla nonna tutti i giorni, e io ho piacere almeno a dormire con mio marito. Faccio la doccia e mi cambio verso le dieci, vado a casa, e alle sei e mezza suona la sveglia.”
Questo, da tre settimane. La signora D. non peggiora e non migliora, però comincia a essere stanca e stufa, non solo astenica, ma proprio stanca e spossata dalla situazione. La figlia cerca di non darlo a vedere, ma ha paura, dubbi e vuole tornare a farsi la doccia a casa sua, senza aver paura di contagiare il marito. Credo che sia la prima volta che la figlia della signora D. racconti questa cosa a qualcuno.
Visito la signora D. Un esame obiettivo da zona grigia. In accordo con la collega in turno con me e seguendo un po’ il pensiero del primo collega che l’ha visita, cambio antibiotico e aggiungo l’idrossiclorochina. Nessuna linea guida. Zona grigia. La signora ha parlato pochissimo durante tutta la visita, ma ci tiene a dirmi che se riuscisse ad alzarsi mi accompagnerebbe alla porta. La figlia ringrazia me e i miei colleghi, queste figure indistinguibili come tanti piccoli cloni imperiali, per il lavoro che facciamo. Io esco e mi chiedo, dopo due settimane, chissà qual è il lavoro che facciamo. Zona grigia.
Le U.S.C.A. (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) sono state istituite da un decreto Covid del 9 marzo e sono diventate operative, almeno teoricamente, il 30 marzo. In alcuni territori, come ASL Novara, sono partite in via sperimentale prima e ormai sono una realtà ben consolidata. Nella mia ASL siamo partiti il 30 per adempire al decreto, ma abbiamo iniziato a lavorare davvero almeno una settimana dopo.
Stranamente il decreto è ben scritto: spiega l’obiettivo (istruire delle unità territoriali che seguano i pazienti Covid per ridurre l’ospedalizzazione e affiancare i Medici di Medicina Generale che in questi mesi sono letteralmente morti di lavoro, più di qualsiasi altra categoria) e spiega i mezzi (senza DPI adeguati, per decreto, non si fanno domiciliari). In realtà l’applicazione del decreto è molto eterogenea e ogni territorio si organizza in modo suo, anche all’interno della stessa ASL.
In alcune realtà, oltre ai medici, ci sono anche infermieri per organizzare delle specie di mini ADI, cioè cure infermieristiche per terapie iniettive e monitoraggio; in altre i mezzi diagnostici in campo sono molti: cardiolina per ECG refertato da specialista tramite servizi di telemedicina e dotazione di ecografi per eseguire eco polmonari (dopo addestramento all’uso). Ad Alessandria è possibile prescrivere l’ossigenoterapia senza piano terapeutico per i pazienti covid, altrove è necessaria comunque la prescrizione specialistica. In alcune realtà si è investito molto nella formazione, in altre si è fatto vedere una volta un video di dieci minuti sul corretto uso dei DPI.
Anche sul versante prescrittivo mancano certezze e linee guida condivise e ogni territorio si sta organizzando da sé, tra sinergie MMG e USCA e, purtroppo, alcune spiacevoli incompensioni nella gestione del paziente. Stupisce in molte realtà la mancata organizzazione nelle settimane che sono intercorse tra il decreto e la sua applicazione: la medicina territoriale sta mostrando tutta la sua inadeguatezza organizzativa, ma anche tutta la sua resilienza, soprattutto nell’auto-organizzazione dei medici, dei servizi domiciliari e nella condivisione di saperi e esperienze, spesso nonostante chi ci sta sopra.
I servizi diagnostici, come l’esecuzione del tampone, rimangono esclusiva dell’ospedale e rendono complessa la gestione dei paucisintomatici, dei dubbi, dei loro conviventi. Ci stiamo muovendo in questa zona grigia tra sintomi da ospedalizzazione e sintomi lievi, arruolando un gran numero di pazienti che speriamo, tra poche visite domiciliari e molti monitoraggi telefonici, si sentano almeno meno soli se non meglio curati.