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E’ solo rispondendo alle domande dell’esame di Stato che mi rendo conto di quanto a fondo si possa dimenticare una materia come biochimica, studiata con grande ardore e dedizione nell’innocenza ed entusiasmo del primo anno.

L’inutilità della materia sta nel fatto che per anni non mi sono accorta di non ricordare più nulla… e con nulla si intende che ho vagamente presente che la molecola di glucosio è un esagono con un OH da qualche parte, mentre quella del fruttosio è un pentagono. Che il colesterolo ha un tot di esagoni sovrapposti e che l’Eme è una graziosa fantasia per le piastrelle. Quanto alla funzione di tutto ciò ne so quello che ho sentito alla televisione, o che ho studiato in altri esami. Però so dire ciclopentanoperidrofenantrene.

Sia chiaro, sto parlando della “mia” biochimica, cioè così come l’ho studiata con i professori che mi sono ritrovata, ormai 7 anni fa. E’ possibile (e me lo auguro per tutte le prossime generazioni di medici) che qualcosa sia cambiato in meglio e che lo studio della biochimica sia diventato un po’ più sensato. Insomma che delle diecimila nozioni che apprendi ti restino a distanza di anni quelle quattro vagamente utili. Anche se tutto sommato se ho dimenticato quello che ho dimenticato è perchè in questi sei anni non mi è mai servito saperlo, se no l’avrei almeno cercato sul libro.
La “mia” prof. di Biochimica era una graziosa anziana signora, deditissima al suo lavoro e competentissima (magari fossero tutti così), ma un pelo fissata col farti imparare tutto alla perfezione.
Arrivava al mattino, prendeva il gesso e il microfono e dal primo all’ultimo minuto delle due ore di lezione riempiva  ininterrottamente i cinque metri di lavagna con un susseguirsi infinito di reazioni, alla velocità concessale della sua pluridecennale esperienza condendo il tutto con qualche commento biascicato qua e là.
Il compito di ogni studente era quello di decifrare la voce dell’oltretomba per decrittare nomi incomprensibili (tipo glucosil-kfschh$”£%&%$-deidrogenasi) e annotarli diligentemente sul quaderno assieme alle formule di molecole organiche enormi scribacchiate alla lavagna, senza sbagliare nemmeno un doppio legame che se no poi lo studi così e vaglielo a spiegare all’esame che hai copiato male.
I 5 metri di lavagna, poi, mica le bastavano alla prof. Finito da un capo ricominciava dall’altro, ma per non cancellare tutto (e permettere a chi restava indietro di continuare a scrivere) eliminava col cancellino sporco di gesso solo un pezzo di reazione alla volta, magari lasciando le frecce, sicchè dopo due minuti la formula appena scritta era indistinguibile dalla reazione precedente. Tutto fuso in un gigantesco serpentone senza testa nè coda, l’eterno circolo della biochimica metabolica.
Scemi voi che tentavate di prendere appunti invece di seguire e basta, mi dirà qualcuno… tanto ci sono i libri! E qui casca il proverbiale asino… la biochimica della nostra prof. era un concentrato di vecchia biochimica di 50 anni fa e scoperte avanzatissime effettuate nei laboratori dell’università e ancora da pubblicare. Insomma quello che diceva e scriveva non lo trovavi su nessun libro, o lo trovavi con una tale fatica ed era così diverso da come lo voleva all’esame che si faceva prima a copiare dalla lavagna. O a morire nel tentativo.
E se qualcun altro se lo sta chiedendo no, l’iphone non c’era, fotografare era escluso.
Dopo mesi e mesi di questa tortura quotidiana arrivò l’esame, preceduto, ovviamente, da leggende spaventose e deprimenti statistiche sulla percentuale dei bocciati.
La prova era così costituita: dodici (12!!) domande su tutto il programma svolto nell’anno, a cui rispondere per iscritto in due ore. Nessuna domanda “teorica” sul ruolo di questa o quella via metabolica nell’uomo: solo reazioni.
Reazioni lunghissime con molecole enormi per una media di 10 minuti a domanda. Dimentico qualcosa? Ah sì, i cofattori. Se una domanda era sul ciclo di Krebs e in una reazione si trova il FAD come coenzima, allora dovevi disegnare anche il FAD. Ti era concesso, per non confonderti, disegnarlo al fondo del compito e non in mezzo alla reazione (che poi è una molecola enorme e avrebbe reso tutto disordinato).
Se sbagliavi un doppio legame o un idrogeno in qualsiasi punto del compito ti toglieva un voto (un voto per idrogeno si intende!), se dimenticavi un pezzo di reazione ti toglieva diversi voti, se saltavi una domanda ti bocciava.

Poi, per carità, l’esame l’abbiamo passato tutti… anche se i due mesi passati con pile di fogli a disegnare come una pazza miliardi di molecole in reazioni complicatissime sono stati tra i peggiori della mia carriera universitaria.
Quello che mi chiedo a posteriori è: “A che accidenti è servito?”.
A parte imparare a dire ciclopentanoperidrofenantrene, che a cena con sconosciuti, quando non sai cosa dire, fa sempre la sua porca figura.
La mia convinzione resta che approfondire troppo cose iper-specialistiche si risolve alla fine nel non ricordare nemmeno quelle più basilari e che forse sarebbe ora di liberarsi della struttura didattica degli anni ’50 e organizzare finalmente un corso di laurea veramente professionalizzante.

One Reply to “L’esame di biochimica”

  1. Il mio esame non è stato molto diverso. Allo scritto però molte crocette (con domande pazzesche da dover sapere il libro a memoria) reazioni e sempre un tot di formule che bisognava disegnare e unire con reazioni e relativi enzimi e coenzimi. Poi facevi l'orale e ti chiedevano altre formule… un incubo che solo a ripensarci mi viene da piangere. Concordo sulla totale inutilità, tra l'altro.

    Simone

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