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Laura? Cosa diamine fai ci fai qui, Laura? 
Hanno rapito anche te! 
Vogliono costringermi a parlare. 
D’accordo, d’accordo, non so cosa volete da me, ma farò tutto quello che volete, basta che non le facciate del male, ok? 
Laura, amore, cosa fai sul mio letto? vattene, tu che non sei legata, non pensare a me, scappa! 
Ma come hanno fatto a prenderti? Ero andato da solo al supermercato. Il cellulare, maledetto. Lo sapevo che non dovevo salvarti “amore”. 
Nome e cognome. 
Sempre detto. 
Poi mi hai fatto quella scenata. 
”Conto così poco per te da essere un nome e cognome qualunque in rubrica?” 
No, Laura, non conti così poco, darei la vita per te. 
Oh, Ma perché ti ho dato retta? Perché ho reso così facile rintracciarti? 
Vattene Laura, scappa, ci penso io a loro. 
Perché anche tu parli strano, Laura? 
Quando hai imparato questa lingua? 
Perché non mi hai mai detto niente? 
Sei d’accordo con loro anche tu? 
Sei tu che mi hai fatto catturare? 
Sei tu che gli hai detto che sarei andato al supermercato? 
Sei tu che mi hai tradito? 
Dimmelo, Laura, sei tu? 
Eccola, ecco la prova che stavo cercando: sei lì che parli con la ragazza coi capelli corti, sei d’accordo con loro, Laura, parli la loro lingua. 
Oh, Laura, perché? Perché? 
Eravamo felici insieme, io ti amavo, Laura, eri tutta la mia vita, come hai potuto tradirmi così? Come ho potuto non accorgermi che tramavi nell’ombra, che ti approfittavi del mio amore? 

“Ma, dottoressa, è sicura che faccio bene a stare qui? Si agita di più quando mi vede, è come se non mi riconoscesse, è rabbioso, non lo riconosco”. 
”Signora, suo marito ha subito dei danni importanti con l’ictus, non siamo in grado di capire se riconosca le persone e l’ambiente che lo circondano. Essere attorniato da estranei è stressante per lui, un volto familiare non può fargli che bene. Certo, non siamo sicuri che la riconosca, però male non può fare”. 

Quindi è così? Tutta la mia vita non è stata altro che una menzogna? La persona cui ho voluto in assoluto più bene, la mia Laura, era lì pronta a tradirmi. Non mi ha mai amato, lei, ha sempre finto in attesa di questo giorno. 
Sei contenta Laura? Ora finalmente puoi vedermi qui, inerme, in balia di questi Mengele che mi hanno impiantato un braccio artificiale, un dispositivo di tracciamento e chissà cos’altro. 
Ah, è tutto chiaro, ora: la tua scarsa propensione per i viaggi (avevi paura che scoprissi la tua vera identità?), quella volta che ti sei infuriata perché sono uscito con gli amici senza dirtelo. Avevi paura che scappassi eh? Avevi paura che vanificassi i tuoi sforzi sparendo prima che potessi portare a compimento il tuo piano! 
E dimmi, Laura: la debolezza e le vertigini delle ultime settimane? Erano colpa tua anche quelle vero? Mi stavi avvelenando. Così avresti potuto costringermi ad andare dal medico passando per un moglie premurosa… eh Laura? Peccato che io i medici li odi e non mi sia lasciato convincere. Sarebbe stato un piano perfetto, il tuo. Ma no, io resistevo, io dal medico non ci volevo andare, e così sei stata costretta a farmi rapire al supermercato. Sai che ti dico? Che ti odio, Laura. Prima ti amavo, ma ora ti odio. 

“Ma Lei dice che [singhiozzo]? Erano un paio di settimane che aveva queste vertigini in continuazione… Gli cadevano le cose dalle mani. Sbatteva contro le porte, come se non le vedesse. Io glielo ripetevo di continuo: Marco, non stai bene, vai dal medico, ma lui niente. 
Ha sempre avuto la testa dura. 
Il medico è quello che paghi perché ti dica se è il caso di prenotare la bara all’ikea, diceva sempre. 
Non mi dà mai retta. 
Se mi avesse dato retta, almeno [singhiozzo]”. 

”Non pianga, Signora, quelle le vertigini erano già i segni del primo ictus, ma anche se quello fosse stato preso in tempo, per il suo tumore sarebbe stato comunque troppo tardi”.

”Sì, ma vederlo così è una sofferenza per tutti, e chissà per lui”. 

”Purtroppo non siamo in grado di sapere che percezione ha Marco di ciò che gli sta intorno e fino a che punto sia cosciente, ma non ho mai dato segno di riconoscerla ed è ancora molto agitato. Possiamo sempre sperare in un recupero che per quanto riguarda i movimenti c’è senz’altro stato, ma sulla parola, purtroppo, gli esiti sono più variabili e solo il tempo ci potrà dire”. 


Bianco. 
Luce. 
Mi ci sto abituando. 
Sto iniziando a capire cosa mi dicono. 
Vogliono sempre le stesse cose. 
Stai fermo. Apri di occhi. Tira fuori la lingua. 
Mi usano come una cavia. Tra poco, appena mi mostrerò più collaborativo, mi metteranno a girare su una ruota come un criceto o mi abbandoneranno in un labirinto pieno di trappole per vedere se riesco ad uscirne vivo usando questo braccio bionico. 
Anche a quello mi sto abituando. 
Lo muovo persino, anche se con fatica, pesa una tonnellata, sarà di titanio. Come minimo mi aspetto che premendo un bottone nascosto si trasformi in un mitra. Se solo scoprissi con quale sequenza di movimenti si attiva potrei far fuori tutti: Faccia-A-Luna, Bin Laden e la ragazza con i capelli corti per primi, poi tutte le guardie che accorrono solo quando cerco di scappare e per ultima te, Laura. Lo so che vieni di nascosto la notte, quando faccio finta di dormire. Hai paura a farti vedere di giorno ora che ti ho scoperta eh? Hai paura che cerchi di ucciderti. 
Ma vedrai, poco alla volta con questo braccio mi allenerò. Scoprirò quali sono i suoi segreti e appena riuscirò a dominarlo ti ucciderò. 
Ti vedo che piangi, lo sai? 
Vieni qui la notte e singhiozzi sul mio letto quando fingo di dormire. 
Ti sei pentita? Ti faccio pena? È troppo tardi ormai. Dovevi pensarci prima di vendermi a questi sadici. 
Ma forse non è troppo tardi, Laura, aiutami a fuggire, Laura, non piangere, non voglio ucciderti sul serio, Laura, mi hai fatto molto arrabbiare, mi hai venduto questi terroristi che fanno strani esperimenti su di me, Laura, cerca di capirmi, ti prego, non piangere. 
Ecco, sì, così. Guardami. Guardami negli occhi come se fosse la prima volta. 
Ricordi? 
Quando ci siamo innamorati: pioveva e non volevi bagnarti le scarpe nuove. Eri così deliziosa, con quell’aria timida, ti dondolavi su e giù sui gradini della biblioteca, cercando riparo sotto il cornicione e guardavi la piazza come se fosse un lago, una distesa invalicabile d’acqua e vento. 
Eri così bella che ho rubato un ombrello al ristorante solo per poterti accompagnare per quei pochi metri. 
Non l’ho fatto con cattiveria, giuro. Lo so che non avrei dovuto rubare l’ombrello ad un povero cristo che mangiava ignaro, ma non potevo lasciarti lì, capisci, e io quel giorno l’ombrello non ce l’avevo. 
Ma ho capito subito subito che non potevo perderti. 
L’ho capito da come eri rivestita, da come ti dondolavi sui talloni, dal tuo sguardo spaurito, da come ti mordevi il labbro guardandoti intorno alla ricerca di una via di fuga. Quando ti ho offerto l’ombrello l’ho capito dal tuo sguardo che eri quella giusta, Laura. 
Guardami così. 
Guardami come se ti porgessi l’ombrello in un giorno di pioggia e tu avessi paura di bagnare le scarpe nuove. 
Guardami e promettimi che fuggiremo insieme, ci dimenticheremo di tutto questo. Fuggiremo lontano, dove non possano trovarci mai, ricominceremo da capo. 
Ecco, lo sento di nuovo, ma questa volta non è come le altre, non è quella porcheria chimica, quel sonno che ti forza le palpebre anche quando il tuo cervello lotta per stare sveglio, questo è sonno vero. 
Laura, io e te, a casa. 
Io e te in una nuova casa, lontana. 
C’è il mare. Si sentono voci di bambini, rumore delle onde. 
Senti anche tu, Laura? Com’è bello? E tutto perfetto qui. È un sogno.

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