Chi ha letto Harry Potter ricorderà:
“A Hogwarts c’erano 142 scalinate: alcune ampie e spaziose, altre strette e pericolanti; alcune che il venerdì portavano in luoghi diversi; altre con a metà un gradino che scompariva e bisognava ricordarsi di saltare. Poi c’erano porte che non si aprivano a meno di non chiederglielo cortesemente o di non fare loro il solletico nel punto giusto e porte che non erano affatto porte ma facevano finta di esserlo”
Alle Molinette invece abbiamo scale che finiscono al primo piano mentre i reparti continuano fino al quarto, scale principali e scale di servizio, con innumerevoli gradini pericolanti. Ascensori che non si fermano a certi piani o che quando premi un pulsante ti portano ad un piano diverso da quello segnato, altri che funzionano solo con la chiave e quelli senza chiave che non si trovano mai.
Reparti con i soffitti di 10 metri e altri claustrofobici, reparti che si aprono in mezzo a un corridoio ma non sono allo stesso livello, quindi bisogna salire dei gradini. Porte con il codice che si aprono solo se contemporaneamente tiri la maniglia, ma è troppo lontana per arrivarci da soli, altre che trovi sempre aperte poi improvvisamente si chiudono e rimani intrappolato.
I reparti sono disseminati a casaccio, come i carrarmatini del risiko quando ci cadono sopra i dadi, la degenza può essere da un lato al primo piano, la sala operatoria al quarto piano del capo opposto dell’ospedale, gli ambulatori al piano interrato in un’ala ancora diversa e il day surgery in mezzo a un reparto che non c’entra niente.
In mezzo a questo marasma anche le indicazioni migliori sono inutili.
Terzo anno. Secondo semestre. Devo rintracciare la segreteria di cardiologia 1 e ho a disposizione l’esiguo tempo della pausa di metà mattina (mezz’ora).
L’informazione a mia disposizione è minima: il reparto sta in corso Dogliotti.
L’aula ovviamente è dal capo opposto. La strada più breve implica percorrere per intero il transatlantico.
Ho così rinominato un corridoio che attraversa l’ospedale lungo il suo asse principale emergendo a livello stradale in corrispondenza di anatomia patologica. Dà accesso a qualche reparto (pronto soccorso e radiologia ad esempio) e ha collegamenti per i principali edifici che non fanno parte del nucleo originario.
Dal momento che la nostra aula è vicino ad anatomia patologica e ci tocca attraversare l’ospedale ogni mattina è la prima scorciatoia che ciascuno di noi ha imparato (spesso a costo di ore passate a cercare la scala giusta per riemergere in un corridoio aperto e non in mezzo a un reparto).
Ciononostante attraversare il corridoio per intero richiede una dozzina di minuti; sempre meno che fare lo slalom tra medici, parenti, pazienti, letti e barelle nel corridoio del piano superiore.
La ricerca del reparto è un po’ più complessa: la prima indicazione riporta [freccia a sinistra] cardiologia 1 [freccia a destra]
Il che potrà anche significare che ci si arriva da entrambi i lati perché il reparto si estende per buona parte del corridoio, ma chissà dov’è la segreteria…
Punto sulla sinistra e mi va bene.
Seguendo le indicazioni giungo alle scale che portano fino al terzo piano.
Entro e scopro di essere a metà di un reparto.
Chiedo informazioni per raggiungere la segreteria e mi viene risposto che si trova al piano di sopra. Da lì, però, le scale non ci arrivano e l’ascensore neppure.
Le possibilità sono:
attraversare il reparto chiuso rischiando l’ira della caposala
scendere al pianterreno, proseguire nel corridoio, prendere le scale successive e salire al quarto piano (arrivando irrimediabilmente in ritardo).
Intrepida opto per la prima soluzione.
Attendo che qualcuno che conosca il codice della porta entri e lo seguo con aria indifferente.
La buona sorte mi arride e nessuno mi ferma. Giunta al fondo del reparto non trovo le scale. Pressata dal tempo stringente, rinunciando anche all’ultimo briciolo di amor proprio chiedo ai pazienti che prontamente mi indicano la direzione giusta.
Salgo un piano e mi trovo nel bel mezzo di una coda interminabile.
Ci mancava questa…
Mi metto in coda tra un paziente e l’altro e dopo un tempo geologico giunge il mio turno.
Scopro così – orrore e raccapriccio – che la segreteria universitaria è da un’altra parte, oltre il corridoio e ci si può arrivare senza fare coda.
Ah, saperlo! Missione compiuta in 40 minuti circa, ritardo calcolato: 40-30+12 = irrimediabile.
Il problema pare piuttosto comune, ecco cosa scrive in proposito Francesco Sartori in “Dall’altra parte” (Rizzoli, 2006)
Ho esperienza dei grandi policlinici e ospedali clinicizzati perché ci ho vissuto o perché, per motivi di lavoro, li ho ripetutamente visitati. Il caos è totale. Le strutture originarie generalmente già inadatte sono state rese ancor più caotiche dai cambiamenti intervenuti in seguito, provocati più che dalle necessità che la medicina nel suo cambiamento comunque comporta, dagli appetiti dei medici in cerca di sistemazioni assurde. Sale operatorie ovunque, invece che raggruppate in un’unica piastra, servizi di endoscopia a decine quando ne basterebbe uno – ma ogni medico, ogni chirurgo ha voluto e ottenuto il suo personale -, studi medici mischiati alle stanze dei malati, servizi indecorosi, ascensori che non si sa dove arrivano, scale che non si sa dove portano, i reparti e i servizi di destinazione praticamente irraggiungibili. Sono i primi esempi che mi vengono in mente. La spartizione degli spazi, avvenuta senza regole, è quanto di più illogico e ingiusto si possa immaginare. Non è facile lavorare in questo conteso, dove dovrebbero svolgersi in modo armonico, l’assistenza, la didattica e la ricerca. Può sembrare ingeneroso citare il Policlinico nel quale lavoro, che peraltro pare sia uno dei meno peggio. Ma mi è sufficiente uscire dallo studio per imbattermi in qualche malato o in un parente che si è perso! Che non riesce a tornare nel suo reparto, che non è capace di raggiungere un ambulatorio, che addirittura non trova l’uscita. La cosa più triste è che, spesso non sono in grado io stesso, che ci sto da una vita, di fornire informazioni precise
Volete mettervi alla prova anche voi? Stazionate in un corridoio a caso con un camice e l’aria di non avere fretta… la vostra conoscenza dell’ospedale sarà testata in 10 minuti.
Se riuscite a indirizzare più di 5 pazienti che si presentano a voi con aria implorante, un foglio di indicazioni mal scritto, un’impegnativa o il nome storpiato di un medico siete già dei maestri.